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Dipendenza affettiva e compulsione sessuale.

 

Le mille sfumature tra “normalità” e “patologia”

 

Dr.ssa Viviana Morelli psicologa-psicoterapeuta

Scrivere sulla dipendenza affettiva o d’amore e/o sessualità è impegnativo, un argomento vasto e complesso.

Questo articolo non contribuirà ad arricchire le conoscenze degli addetti ai lavori, ma forse può semplificare la comprensione di molti comuni “dipendenti” più o meno consapevoli di esserlo, di chi vuole migliorarsi nella consapevolezza di essere incastrato in un vortice di dolce-amaro e di amore-odio, di bisogno di riconoscimento e negazione dello stesso.

-Siamo tutti dipendenti da qualcosa, ma dall’affetto prima di tutto.-

Siamo stati tutti bambini bisognosi di un abbraccio, di un contenimento delle nostre paure…la paura del buio, di perdersi….chi non ha un bambino abbandonato dentro di sé?

Quanti adulti in momenti di passaggio critici si ritrovano ad aver paura del buio o dei mostri sotto il letto. Vi assicuro tanti, non tutti lo confessano ai comuni amici.

Possiamo esser stati figli dei migliori genitori, ma la perfezione non esiste e il bambino avido di affetto spesso non viene percepito per ciò che è veramente, quindi la risposta del genitore non è adeguata alla richiesta.

La psicologia ci insegna che queste mancanze e bisogni non soddisfatti creano una traccia, una ferita che fa sentire la sua presenza.

Quindi non esiste una infanzia totalmente immune da carenze.

Siamo portatori di ferite, psicoterapeuti per primi come molti addetti alle professioni umanitarie, un grande autore (non ricordo quale) diceva che solo un terapeuta che ha riconosciuto e lavorato sulle sue ferite da sanare può essere un bravo terapeuta.

Io aggiungo: non puoi fare questo lavoro se per primo non riconosci e lavori sui tuoi traumi.

Siamo Persone e continuiamo a crescere con i nostri pazienti.

 

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Quindi utilizzerò il Noi, noi dipendenti, per partire da questo presupposto di base in cui credo fermamente, siamo tutti dipendenti, con le potenzialità di “non entrare” nella patologia….o le capacità di uscirne.

Abbiamo un Io bambino e un Io adulto in noi , utilizzando il linguaggio di E. Berne, che possiamo rendere complici, alleati, solidali.

Non siamo solo un “bambino avido di amore” ma anche un adulto capace di decidere per il nostro bene, possiamo essere genitori protettivi di noi stessi.

In un ottica esistenzialista abbiamo una capacità di amarci innata.

Nella mia formazione viene chiamata il Sé, una guida interna capace di comprendere quando riusciamo a volerci bene e quando male.

Negli articoli o conferenze i ringraziamenti si fanno alla fine, decido però di farli subito.

Perché la forte motivazione a scrivere mi viene da un intenso momento di lavoro sulla dipendenza affettiva, sulle relazioni parallele o multiple, affettive e sessuali o solo sessuali, il fenomeno che oggi viene distinto come tromb-amico/a, non solo nelle giovani generazioni. Ma in moltitudini di 40enni e 50enni soli, realmente o che si percepiscono soli, alla ricerca di una stabilità personale ed affettiva che viene cercata quanto narcisisticamente fuggita.

Ringrazio i miei pazienti per la fiducia e il lavoro insieme, chiaramente non vi citerò, ringrazio me stessa per tutte le volte che mi sono identificata in voi e ho migliorato una parte di me.

Ringrazio la mia ultima analista Lilian e degli amici che chiamerò con dei soprannomi, perché mi hanno confidato la loro vita fatta di drammi, emozioni gioie e dolori….e soprattutto dipendenze, quindi ringrazio:

l’artista, l’artigiana, la Fata,

Angelo tatuato, Robin, gabbiano Max, Lancillotto, il brasiliano, e quella parte di me donna e amica che ha condiviso momenti autentici con loro, sia donne che uomini. Ringrazio quella sana parte di dipendenza in noi, quel sano amore capace di donarsi e di riprendersi.

Farò riferimento in questa mia sintesi a vari concetti riportati su l’ultimo libro letto sull’argomento, che mi rappresenta tutti i precedenti libri studiati, nulla togliendo a quest’ultimi, “la dipendenza amorosa-quando l’amore e il sesso diventano droga” di F.-Xavier Poudat.

Consigliato perché semplice, per tutti.

Su facebook, che a volte è veicolo di perle di saggezza, è stato scritto di recente:

Lavorare con se stessi e su se stessi, questo è l’imperativo costante. Il che significa: riconoscere e soddisfare i propri bisogni,le proprie necessità,cercare le situazioni che ci fanno stare bene, evolvere e crescere, e rifuggire da quelle che ci sottraggono energia, che ci svuotano, che ci fanno stare male.
Volersi bene è l’unico modo per catalizzare l’amore. 

A. Fata (non è la Fata sopracitata)

Chiaramente questo dovrebbe essere l’obiettivo finale, ma spesso inesorabilmente bisogna passare per una dipendenza di vario tipo.

Questa è la mia “interpretazione esistenziale” che per “uscirne” bisogna entrarci con “consapevolezza”, a volte entrare ed uscire nel tunnel del bisogno-dipendente e riemergere sempre ad un livello più alto.

Personalmente credo che spesso questo fenomeno accompagna dei passaggi di crescita della nostra esistenza, cambiamenti ….lutti, reali distacchi, responsabilità da matrimonio, figli, paura dell’invecchiamento e della morte.
In questi “passaggi” ritornano le nostre fragilità infantili, le ferite si riaprono ricercando nuovi processi di guarigione.
Molte persone hanno bisogno di “attaccamenti” e “distacchi” da gestire sempre ad un livello superiore, per crescere e maturare ad una dimensione adulta.

Quando si parla di relazione/dipendenza amorosa o sessuale dobbiamo prima considerarla come una normale esperienza umana, non vedere immediatamente il “patologico” in certi fenomeni.

Ci attacchiamo all’altro credendo di vedere e quindi vivere ciò che ci serve, dipendiamo dal nostro oggetto d’amore perché appaga le nostre insicurezze, paure, fragilità….il sentirsi riconosciuti attenua quell’angoscia che è molto simile al quella del bambino che non viene “visto-sentito” dalla madre.

L’altro, anche se idealizzato ci fa sentire di esistere.

Se non percepiamo la presenza dell’amato, sentiamo di morire….la risposta mancata ad sms scatena il vuoto, l’ansia, la paura di perdere per non essere adeguato, amabile.

Pensare ossessivamente all’altro è un piacere e contemporaneamente una trappola.

Pensieri ossessivi sulla perdita dell’amato rendono amari i momenti dolci.

Una compulsione d’amore assomiglia a quella da cibo.

Non se ne può fare a meno, ma la sofferenza è dietro l’angolo.

Anche perché, l’oggetto-persona amato dal dipendente sentendosi impotente e non appagante, qualsiasi cosa faccia, si può allontanare veramente se non ha lo stesso bisogno co-dipendente.

I dipendenti affettivi (anche quelli sessuali) rievocano il trauma dell’abbandono e sofferenza, “provocando ciò che temono”. Mettendo alla prova la persona amata continuamente.

Molto spesso per non soffrire, come nel caso del dongiovannismo, sono loro a lasciare perché si sentono continuamente inadeguati nel confronto con l’altro o gli altri.

La coazione a ripetere ci porta a scegliere persone che paradossalmente hanno le caratteristiche “del rifiutante o irraggiungibile”, il gioco psichico ci spinge paradossalmente a sanare la ferita attraverso una persona non appagante, la sfida è avere l’impossibile, il dipendente ricerca la rassicurazione seducendo e controllando l’oggetto amato, quindi ritorna nella trappola. Mai avrà piena gratificazione!

Molte delle “dipendenze” che conosciamo, la bulimia, il gioco, la chat, o delle ossessioni come quella per l’ordine e pulizia, hanno radici nel vuoto affettivo.

A volte la dipendenza affettiva, come compulsione di amore e sesso da un oggetto-persona all’altro, come costruzione di rapporti paralleli o tradimenti dal rapporto ufficale-coniugale, rappresenta solo un momento di vita , elaborandola consapevolmente in psicoterapia porterà ad una capacità di gestire il distacco, si può passare gradualmente“da un amore malato” a una capacità di amare in modo adulto e appagante.

Scriveva Robin Norwood: “al pari di chi mangia compulsivamente, noi donne che amiamo troppo dobbiamo imparare a fare in modo sano ciò che prima facevamo in modo ossessivo. Mangiare ed avere relazioni sono due aspetti essenziali della vita…non si può tracciare un comportamento “normale”, la guarigione non è un passaggio da un estremo all’altro…”

La patologia subentra quando la persona nella propria vita struttura unicamente questo tipo di attaccamento dipendente, senza sperimentare un amore maturo.

Come adulti sappiamo che “altro” non può rappresentare la totalità, la perfezione, il totale appagamento. Ogni relazione sana ha normali sofferenze. Dobbiamo imparare a tollerare le mancanza, il vuoto.

Per i dipendenti la mancanza di tolleranza del vuoto alimenta la “compulsione”, irrefrenabile bisogno di riempimento affettivo, tramite continue conquiste affettive e/o sessuali. (dongiovannismo)

Ma il bisogno di conferma non si esaurisce.

Se il gioco si ripete siamo in una patologia.

Come ci ricorda F.-X. Poudat nella passione la forza dell’attrazione è immensa, tutto ciò che viene dall’amato è meraviglioso, anche il più insipido elemento che non porta a nulla.

Gli incontri sessuali sono meravigliosi, speciali……la paura di perdere l’altro fa nascere ad entrambi un senso di separazione angosciosa come i bambini che perdono la madre.

L’insicurezza e la sofferenza crescono……poi gradualmente prendiamo contatto con la realtà. Le relazioni folli sono destinate a morire.

Nel libro sopracitato ho ritrovato un brano di Marie Cardinal, ricordo che a 17 anni divoravo i suoi romanzi-profondi saggi.

Cardinal scrive” abbiamo appena passato un mese e mezzo insieme e so che entrambi abbiamo bisogno di una pausa. Dopo aver passato settimane intere in cui non smettevamo di comunicare e parlavamo come pazzi, come se il futuro del mondo dipendesse da noi, sono contenta di tornare a casa mia, dei starmene da sola a pensare alle mie cose, di leggere i miei libri di incontrare altra gente. Sono come uno scoiattolo che è andato alla ricerca delle nocciole, che ora riparte con le sue provviste(…) Se non si è rifiutati dal proprio e dalla propria partner, se non la/lo rifiutiamo, se si è sicuri del suo legame profondo, si vive molto serenamente nei periodo di assenze fisiche o amorose. Io non credo nel respiro doppio. La vera felicità sta nel non chiedere mai niente a nessuno.”

Oggi non sono d’accordo con questa ultima frase, in realtà l’essere umano ha sempre bisogno dell’altro, saper chiedere e tollerare un desiderio non realizzato è crescere in una dimensione adulta, è la fusione o la pretesa avida il nocciolo patologico.

I nostri bisogni non vanno negati, “l’altro” è necessitante per l’Io, la negazione di questo è una visione narcisistica e onnipotente.

L’essere umano non è antropologicamente sintonizzato sulla solitudine.

Ma dobbiamo godere di una capacità acquisita di star bene da soli, per poi incontrare l’altro.

Scrive F. Quattrini, sessuologo.

Nella risposta sessuale di tipo disfunzionale si osservano due comportamenti opposti: la dipendenza dal sesso, in cui l’individuo utilizza in modo ossessivo e compulsivo le difficoltà che non riesce a gestire, ma anche l’allontanamento dalla sessualità (in alcune parafilie non è previsto l’Incontro erotico-sessuale con l’altro)

Se la ricerca di sensazioni forti fa parte della dipendenza affettiva, e in molte donne e uomini la ricerca della passionalità fusionale tenta di coprire le carenze affettive e la mancanza di fiducia in se stessi, ciò vale anche nelle dipendenze sessuali.

L’erotomania solo per dettagli di percentuali tocca maggiormente il mondo femminile (spesso associato a disagi psichici più gravi).

Il rapporto è compulsivo ma non reciproco, molto fantasticato e poco reale.

Si evidenzia una illusione delirante di essere amata/o….la realtà viene ricostruita e modificata per giustificare i comportamenti evitanti e rifiutanti della persona-oggetto amata, la quale non corrisponde. La convinzione delirante è proprio quella di essere corrisposti. Una patologia questa presente in molti stalker in genere di sesso femminile.

Qui spesso la sessualità è assente, sostituita da fantasie o masturbazione compulsive.

La dipendenza dalla seduzione, dall’adescamento compulsivo e dal dongiovannismo:

la seduzione è un “mezzo” naturale, ma qui parliamo di conquista di più partner con lo scopo di essere rassicurati della propria capacità narcisistica.

La dipendenza dalla seduzione non prevede necessariamente che il sesso abbia un ruolo principale. (per questo le sfumature tra dipendenze affettive e sessuali sono difficili da delineare)

Un dongiovanni potrebbe in realtà nascondere un problema principale, dall’impotenza, un ambivalenza verso il femminile, un omosessualità nascosta….il dongiovanni di fronte ad un “si” troppo facile si annoia, fugge prima di deludere o sentirsi inadeguato, lo motiva l’eccitazione che accompagna la sfida…..ma non si può fermare a lungo, riparte per altre conquiste anche se il rapporto non è consumato.

Finché il meccanismo funziona c’è un “nutrimento narcisistico” che copre il senso di inferiorità, più profondo. Di fatto il dongiovanni è sempre solo.

Oggi con le “dipendenze da rete” molti narcisisti si fermano ad un erotismo virtuale, senza incontri.

La versione femminile – la ninfomane-

Questa persona cerca amore e sicurezza, la paura di perdere l’amore e la gratitudine la spinge ad una “prostituzione affettiva”, il sesso è dato in dono perché i bisogni degli uomini vengono prima per essere abbracciata e riconosciuta.

Dietro c’è la paura della solitudine e di invecchiare……alla fine la solitudine e la sofferenza è inevitabile come per i seduttori uomini, la compulsione delle seduttrici spesso le porta a “sporcarsi” in presenza di altri per l’impossibilità di fermarsi. In poche provano piacere se non per placare le tensioni.

“il legame tra (devianza-parafilie)dipendenza sessuale e dipendenze affettive è che i sentimenti come l’amore e la sessualità normalmente vissuti nei rapporti coniugali a lungo termine, vengono utilizzati come mezzi di sopravvivenza…nelle dipendenze sessuali il sesso è fondamentale, in quelle affettive i sentimenti sono fondamentali per vivere attraverso l’altro..” f.x. Poudot

Come nelle precedenti dipendenze anche in quelle sessuali ci troviamo spesso al limite tra normalità e patologia. Oggi sono molto più tollerati dei comportamenti sessuali che un tempo erano definiti devianze, ma il punto qui non è “il cosa” ma il “come”, la compulsività nell’azione sessuale e il renderla vuota di sentimento o di contatto interpersonale riempitivo.

Le parafilie e le dipendenze sessuali sono più presenti negli uomini, le dipendenze affettive nelle donne.

Spesso i dipendenti sessuali che varcano il limite delle devianze sono portatori di problemi sessuali, come impotenza ed eiaculazione precoce, eiaculazione ritardata, anorgasmia femminile. Ma non il contrario.

Cioè chi lamenta questi disturbi coscientemente non necessariamente evidenzia dipendenze.

Per capire meglio il concetto di devianza, parafilia, diciamo che sono fantasie e bisogni di passaggio all’alto compulsive invadenti, spesso rivolte ad oggetti o persone non consenzienti; lasciano un senso di vuoto e di smarrimento, l’assuefazione porta ad aumentare il “dosaggio” per migliorare l’effetto.

Alcuni deviati sessuali vivono la ricerca del piacere senza senso di colpa, entrano in uno schema comportamentale lucido alla ricerca unica del proprio piacere, esempi come esibizionismo, feticismo, pedofilia, sadismo……altri invece ne percepiscono la sofferenza, l’isolamento, la spinta compulsiva coattiva che non porta a nessun tipo di appagamento duraturo, qui siamo al confine col comportamento additivo (dipendente).

Prendiamo ad esempio il voyeurismo e feticismo che può spingere un uomo a vagare di notte, rubare biancheria intima entrando nelle case di donne, masturbarsi compulsivamente……intrappolato nel suo ciclo ripetitivo, senza mai aver avuto rapporti sessuali e amici……dietro questo rifiuto ad ogni contatto vi è un evidente paura delle donne.

Nel sadomasochismo si predilige un attività sessuale dove un partner è oggetto di possesso, masochista, l’altro è il sadico dominante, in questo gioco vi sono elementi necessari :asservimento, umiliazione e dolore. Con varie sfaccettature e gradualità di intensità e compulsione, il livello di patologia si può misurare in estremo se diventa l’unico modo per avere una gratificazione sessuale.

Comportamenti sessuali eccessivi non parafiliaci

Cioè quei comportamenti sessuali eccessivi, più tollerati culturalmente

ma non definiti patologici.

Anche se di per se il loro aspetto compulsivo allontana dalla possibilità di una relazione di affettiva reciprocità.

Possono essere considerati non devianti: la masturbazione compulsiva, la dipendenza da forme anonime di gratificazione sessuale-pornografia-internet-telefono erotico- dipendenze da droga per soddisfare piaceri sessuali, prostituzione.

Il confine tra normalità e patologia è molto indefinito, va valutato caso per caso.

In accordo con Poudat, in terapia non è tanto la frequenza o la quantità che determina la patologia, ma l’uso dell’altro senza il suo consenso, e il carattere incontrollabile della pulsione, l’invadenza nel quotidiano. La percezione del disagio e malessere da parte del protagonista.

La dipendenza non rende felici, gli affetti e il lavoro vengono trascurati e il bisogno ossessivo predomina. Se non riusciamo a mettere in atto la nostra fantasia o bisogno sessuale stiamo male, questo ne determina il condizionamento nella relazione.

Nella coppia patologica vediamo spesso il fenomeno di scelte paradossalmente complementari nella parafilia, un dipendente o deviante sessuale ne sceglie un altro con caratteristiche complementari ( un masochista il sadico, un voyerista un esibizionista, un compulsivo della masturbazione con un feticista….)

Di solito i coniugi-compagni dei dipendenti definiti co-dipendenti, provengono da famiglie disfunzionali e hanno una evidente scarsa autostima, assecondano il dipendente per non perderlo, vivono costantemente nella paura dell’abbandono, si sentono responsabili del disagio del coniuge. Quindi accettano comportamenti da parte di quest’ultimo che persone nella norma rispettose di se non accetterebbero mai!

Dato che il compulsivo ha rapporti solo con la sua dipendenza spesso il coniuge co-dipendente si sente sminuito e rifiutato, sentendosi responsabile dell’infelicità del coniuge cerca invano di porvi rimedio.

Cosa cercano il dipendente affettivo e il compulsivo sessuale?

Le parole chiave per Poudat sono: riempire un vuoto,calmare una angoscia una tensione, farsi del male e punirsi, soddisfare un bisogno di valorizzazione, fuggire dimenticare evitare il vero problema profondo…la paura del confronto della perdita, di perdersi nell’altro, della noia della solitudine; provare sensazioni forti e un piacere intenso.

Quindi come tutte le dipendenze compulsive.

“Tutti i soggetti dipendenti hanno in comune la ricerca di emozioni che li facciano sentire vivi. A distinguere le persone in cerca di forti emozioni e di rischio, è il marcato e deliberato gusto di flertrare con la morte. Per i drogati del sesso il rischio sta nell’avere più rapporti sessuali non protetti, mentre i seduttori compulsivi scelgono consapevolmente e ripetutamente relazioni passionali che non hanno futuro e che per epilogo hanno sempre la solitudine.

La sofferenza è un altro tratto che caratterizza gli individui che inseguono sensazioni forti sessuali o affettivi che siano……..la mancanza di questi momenti forti e intensi genera sofferenza.

Non si può provare sensazione folle o passione folle senza sofferenza. Se voglio degli alti devo accettare anche dei bassi. Il dolore e la mancanza spingono a cercare la passione e la passione fa soffrire” F.X. Poudat

Questi dispenser di amore o sesso che vediamo nell’altro sono “boe di salvataggio” come le definisce Poudat. Quindi nel tentativo di salvarci ci aggrappiamo a boe sbagliate, o almeno definite così se non abbiamo la consapevolezza di cosa ci accade.

La psicoterapia ha lo scopo di guidare la persona verso la via di uscita, tollerare il vuoto e la frustrazione, riconoscere il proprio valore, evitare la “coazione a ripetere” la compulsione o passaggio all’azione. Poiché la compulsione non fa che nutrire l’attaccamento agli oggetti, allontana da se stessi, dalla propria capacità di contenersi.

Tutto questo con una certa gradualità.

Cercando strade di auto gratificazione diverse.

I dipendenti d’amore o sesso sono come i bulimici di cibo “se comincio devo andare fino in fondo”

Robin Norwood scriveva: poiché la natura sembra aborrire il vuoto, sia nell’area emotiva e comportamentale sia in fisica, non possiamo semplicemente smettere di amare troppo senza intraprendere una nuova attività (si spera più positiva) che lo sostituisca……più amore e attenzione riserviamo a noi stesse, meno facilmente permettiamo a qualcun altro di maltrattarci.

La grande intensificazione delle dipendenze affettive come del resto le “new addiction” è alimentata enormemente dalle caratteristiche della nostra società, “tutto e subito” consumismo usa e getta di cose e persone, forte incapacità soprattutto nei giovani a tollerare le frustrazioni, come in altri articoli da me pubblicati non possiamo sottovalutare il potere del “gruppo” e della società in questi fenomeni.

Lo scopo della terapia è quello di aiutare a vivere l’esperienza dell’autonomizzazione.

Per chi chiede aiuto percependo la trappola e il dolore, il problema esiste solo per chi lo riconosce, c’è chi continuerà a vivere scegliendo “boe di salvataggio”.

Noi terapeuti dobbiamo “nutrire” questo passaggio dalla dipendenza all’autonomia, avendo spesso la sensazione di un “mondo che ti rema contro”. Il passaggio a mio avviso è graduale, come in tutte le dipendenze. Spesso nel viaggio terapeutico io dico che bisogna “entrare dentro la dipendenza con consapevolezza, per uscirne fuori con coraggio”.

Esisteranno per un po’ dei “dei porti di attacco di sicurezza” più soft rispetto ai comportamenti dipendenti precedenti, per esempio si sostituiscono gli acting sessuali con le fantasie, il bisogno di essere “al centro dell’attenzione” con attività sanamente narcisistiche, una dipendenza “unica da persona sbagliata” con dieci amici “sani” e via dicendo.

Il terapeuta aiuta a riconoscere le proprie risorse nel tollerare la frustrazione, ed evitare quel passaggio all’atto cioè la conquista, la compulsione sessuale, l’attaccamento morboso, l’innamoramento coatto, che mitica solo leggermente l’angoscia.

Scoprire che l’angoscia non uccide, che possiamo contare sulla nostra parte adulta che ha capacità di “autocontenerci”.

Nella mia ottica esistenzialista, il “progetto di vita”, il sogno da realizzare, la creatività sono delle energie utili per combattere la dipendenza. Perché la persona trae da queste nuove competenze riscoperte un valore, un autostima e una sicurezza che lo aiutano a dipendere meno dalla accettazione e riconoscimento dell’altro.

Cito delle belle parole di Osho:

Non sei qui per soddisfare le aspettative di nessuno e nessuno è qui per soddisfare le tue. Non diventare mai vittima delle aspettative degli altri e... non rendere nessuno vittima delle tue. Questo è ciò che chiamo individualità. Rispetta la tua individualità e quella degli altri. 
(Osho)

Concludo dicendo che nella mia pratica terapeutica la Persona è un individuo capace di amarsi, di amare ed essere amato, in una continua evoluzione di crescita e cambiamento.

La fase più difficile è proprio “amarsi”, imparare è difficile ma sono con un sano amore per noi possiamo amare in modo adulto l’altro.

E se abbiamo creduto di aver raggiunto la vetta, la vita ci sfida e capiamo che non è così.

Non dobbiamo aver paura delle ricadute….arrivano per portarci ad un livello più alto.

BUON LAVORO SU NOI STESSI!

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