Setting terapeutico e Covid-19
Una decina di anni fa, dopo il terremoto de L’Aquila decisi di scrivere un articolo sul cambiamento del “setting in psicoterapia”. Lavoravo da oltre 12 anni in quel territorio, quella calamità provocò notevoli cambiamenti nella vita di tutti noi dottori del Centro di Psicologia e Psicoterapia della Dr.ssa Petrocco, nei pazienti stessi e negli Aquilani tutti.
Per due anni consecutivi prima di trasferirci in un “camper” non c’era un luogo sicuro dove poter lavorare.
Quindi “il setting (in inglese, sfondo, scenario)” in genere confortevole e accogliente fu stravolto: sono passato dalla mia auto, una station wagon, in cui ero sul sedile di dietro e il paziente su quello davanti, stile psicoanalitico, alle pareti semi- colpite dal sisma di un’antica chiesa in periferia.
Con un tavolino pieghevole e due sedie poggiate su un tappeto d’erba all’ombra di un cedro, cercavamo di ricreare quel “luogo” simbolico ma soprattutto fisico, necessario allo svolgimento delle sedute. Da fine maggio fino ad ottobre ogni giovedì “attrezzavo” lo studio. Ho cambiato un paio di volte sede. Allora non c’era ancora una ricostruzione in periferia, le poche persone che passavano di lì, perlopiù operai, sembravano capire la situazione e passavano al largo.
L’angoscia di morte che tutti gli aquilani (e non) portavano dentro, permetteva comunque lo svolgere delle sedute anche in quel setting anomalo. L’unica realtà era la presenza, la fisicità, il rendersi conto che si era vivi…sopravissuti . Il pericolo era passato anche se si era rimasti siderati.
I cambiamenti che stiamo vivendo con l’avvento del Covid-19 coinvolgono sia differenti angosce che un ulteriore cambiamento del setting.
Lì le macerie erano visibili, i morti numerosi ma si riteneva l’evento unico, irripetibile (cosa purtroppo non vera come la tragedia di Amatrice ci ricorda) oggi abbiamo le stesse preoccupazioni economiche sul futuro, ma la paura di un nemico invisibile, mortale e insidioso, non ci aiuta a trovare un termine ultimo, una fine a questa angoscia.
Torniamo ai cambiamenti: un setting strutturato e costante è sempre stato fondamentale all’interno del nostro lavoro, le minime variazioni- come ricordavo nel precedente articolo- venivano subito notate dai pazienti. L’ambiente neutro dello studio veniva comunque vagliato. L’aver aspettato o meno in sala d’aspetto poteva diventare parte della seduta, tutto questo, le regole del contratto terapeutico insieme alla presenza del terapeuta e del paziente fa parte del setting.
Ora, nel tempo del Covid-19, il setting è stato nuovamente alterato, almeno per molti di noi Psicologi e per quei pazienti che erano già in terapia. Non mi riferisco a quelle persone che si sono avvicinate ora alla psicoterapia per l’ansia, per l’angoscia che questa pandemia ha scatenato. Le sedute Skype o Whats App erano una eccezione per persone che volevano continuare un percorso intrapreso con un professionista anche durante un soggiorno all’estero per lavoro/studio.
Con le sedute on-line lo psicoterapeuta entra nella casa/stanza/auto del paziente. Anche se lasciamo le stesse regole, per es. non si fuma, non si risponde al telefono etc. questo setting alterato può andar bene in questa prima fase di emergenza, ma non può diventare la norma. Molti pazienti hanno interrotto indicando proprio questa alterazione del setting come motivo principale. La paura che il genitore o il partner possa spiare al di là della porta, genera delle tensioni- a volte giustificate- che fanno desistere da questa soluzione. Dal punto di vista di noi professionisti, perdiamo tutti quegli indicatori non verbali al di sotto dell’occhio della telecamera. Un piede che si muove nervosamente, lo stomaco che gorgoglia, una fede che passa nervosamente da un dito all’altro. In questo momento di emergenza l’on-line ha sicuramente valore, permette di mantenere la relazione, tranquillizza il paziente sul nostro stato di salute.
Come sta? È une delle prime domande che ora fanno. Permette di placare un po’ quell’angoscia di perdita e di abbandono da parte nostra, che questa situazione può generare. Una ricerca effettuata dall’Istituto Piepoli, commissionata dal nostro CNOP, oltre ad un aumento del 31% del disagio psicologico, segnale che per il 51% delle persone intervistate la limitazione che pesa di più è il non potersi relazionare con le persone al di fuori.
Molti pazienti vogliono tornare in studio, “in quel luogo e quel tempo dove si era strutturato il legame terapeuta/paziente” (L. Ballarè). Anche noi soffriamo della mancanza dell’abbraccio, della fugace stretta di mano, di quel saluto sulla porta che comunque era:ci vediamo la prossima settimana!…mi auguro presto.
DR.P. POSSANZINI