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Riflessione #1 sul coronavirus

 

Eccomi qui a scrivere qualche riflessione su questo periodo decisamente strano che tutti noi ci troviamo a vivere. Era tanto che non buttavo giù un po' di pensieri, sebbene ne sentissi l'esigenza, e penso che sia arrivato il momento di ricominciare a farlo.

Per me, perché sento il bisogno di esternare pensieri ed emozioni che nascono da quanto sta accadendo nel nostro Paese.

Per chi sta leggendo, perché come psicoterapeuta spero di poter fare la mia parte nell'aiutare l'altro sollecitando qualche riflessione.

Ho aspettato a scrivere perché ho ritenuto utile prima elaborare alcuni pensieri che altrimenti rischiavo solo di "vomitare" fuori.

Martedì mattina, affacciandomi alla finestra ho avuto due strane impressioni. Da una parte la stessa sensazione di quando nevica: un mondo più silenzioso ed ovattato. Non c'erano i classici suoni a cui sono abituato. Le macchine in circolazione erano poche e tutto sembrava permeato da una calma apparente.

Apparente credo sia l'aggettivo giusto per descrivere ciò che osservavo.

Perché subito dopo ho messo a fuoco la seconda impressione che avevo e che è diventata più forte ieri, uscendo per fare la spesa: un "rumore emotivo" di fondo composto di ansia e preoccupazione.

Se ci fate attenzione questo rumore lo si "sente" uscendo di casa e incontrando le persone che si scansano come mai fatto prima e si trattengono nel dare la mano.

Lo si avverte nello spazio che si è obbligati a rispettare mentre si è in fila.

Lo si osserva dentro i carrelli ricolmi di spesa delle persone.

Lo si vede sui volti e sulle mani delle persone che hanno qualcosa di diverso dal solito e non solo per le mascherine e i guanti che indossano ma per l'innaturalezza dei movimenti.

E lo si ascolta nelle parole filtrate dalle mascherine che, volenti o nolenti, parlano di virus, di morti, di contaminazione, di lavoro e crisi.

Forse è per questo motivo che mi sto ritrovando a scrivere: per contrastare questo rumore di fondo.

Penso che le emozioni che la maggior parte di noi sta vivendo nascano proprio da questo.

Però, come spesso mi trovo a dire alle persone che incontro in stanza di terapia, le emozioni non sono mai “negative” e non vanno negate, ma non devono neanche prendere il sopravvento sulla nostra vita.

E allora parlare delle nostre ansie e delle nostre paure, del nostro senso di spaesamento e di preoccupazione o della nostra tristezza diventa fondamentale in questa fase in cui, ovattati dal mondo esterno, siamo più a contatto con noi stessi.

Se ci pensiamo, spesso la routine e il dover costantemente correre da una parte all'altra, per quanto fisicamente devastante, ci protegge proprio dal contattare le nostre emozioni più scomode.

Beh ecco, in questi giorni tutto ciò non sarà possibile.

Siamo in standby dal fare.

Quindi abbiamo un'ottima opportunità, oltre che per riscoprire il piacere di fare cose che non sempre abbiamo modo di portare avanti, per entrare in contatto con ciò che proviamo.

So bene quanto, a volte, questo possa sembrare scomodo ma, allo stesso tempo, può essere davvero arricchente, specie se non fatto da soli.

Credo che in questi giorni meno che mai dovremmo vergognarci di parlare delle nostre ansie e paure, legittime e condivisibili.

Non solo per la diffusione di un virus che sta facendo molte vittime ma anche per la situazione in sé.

Da qualche giorno ci troviamo a vivere in una condizione del tutto diversa dal solito. I nostri piccoli "rituali" e abitudini quotidiane sono saltate e, tale eventualità, ci porta a vivere in un mondo senza punti di riferimento. E questo è proprio un elemento che può contribuire a generare ansia.

Per capire a cosa mi riferisco, provate a fare un piccolo "esperimento mentale".

Fate finta di dover attraversare una stanza totalmente buia se non per alcuni oggetti illuminati sparsi in giro: una sedia, un tavolo, una borsa ecc. (Questi posso rappresentare le nostre abitudini e i nostri rituali quotidiani)

Sapete che, sebbene siete immersi nel buio, avete qualcosa che vi può guidare e che può indirizzare l'esplorazione della stanza e darvi la direzione.

Ecco ora fate finta di togliere questi oggetti e di non avere più punti di riferimento.

Ora poniamo anche il caso che, una parte del nostro cervello, "senta" che nella stanza c'è anche il respiro di qualcuno che sappiamo potrebbe aggredirci. Ma non sappiamo né dov'è né se e quando deciderà di farlo. Ecco, questo è ciò che penso stia accadendo in questi giorni.

Da un giorno all'altro le nostre abitudini, il caffè al bar, andare a lavoro, l'attività sportiva, il vedere gli amici, sono tutte cose che sono saltate.

E sentiamo costantemente parlare di uno spettro che aleggia intorno a noi.

Quindi forse avere tutti un po' di preoccupazione è inevitabile e diviene fondamentale mantenere, per quanto possibile, le nostre abitudini. Evitiamo di dormire o mangiare senza orari, continuiamo a curare la nostra persona, portiamo avanti (per quanto possibile) le attività di sempre come l'esercizio fisico.

Oppure iniziamo a programmare per il futuro. Perché la quarantena passerà e ognuno di noi tornerà alla propria vita ma possiamo essere già pronti e preparati per portare avanti vecchi e nuovi piani.

Cerchiamo di rimettere nella nostra vita qualche punto di riferimento, così da combattere l’ansia che si annida in noi.

Inoltre, anziché tenere per noi le nostre emozioni, possiamo fare lo sforzo di condividerle.

Solitamente tendiamo a tenere per noi i nostri aspetti più intimi.

Molte volte vergognandoci e pensando che siano strani o incomprensibili per gli altri.

Beh questa volta abbiamo la "fortuna", se così la possiamo chiamare di poter condividere tutti un'esperienza simile.

Quindi possiamo approfittarne per sperimentarci in qualcosa di diverso.

Per quanto a volte inusuale e spaventoso, parlare e condividere le nostre emozioni fa sì che queste diventino reali e concrete e quindi più gestibili.

Quindi approfittiamo di questa situazione per entrare più in contatto con noi e, partendo da questa esperienza, per entrare in contatto con gli altri.

Certo un contatto diverso da quello a cui siamo abituati, e non solo per l'esigenza di non toccare gli altri.

Un contatto che paradossalmente può essere più intenso e intimo perché va oltre le barriere del concreto.

E se sentiamo di non riuscire a gestire tutte le emozioni che proviamo, non dovremmo avere paura di chiedere aiuto ad un parente, un amico o perché no anche un professionista.

Anche in questa fase, sebbene a distanza (per fortuna oggi abbiamo tanti mezzi per parlare e "vederci"), possiamo trovare nell'altro il sostegno di cui abbiamo bisogno.

Questa situazione ci obbliga a contattare le emozioni che hanno a che vedere con la mancanza di controllo e non dobbiamo vergognarci se cerchiamo aiuto nel tentare di riconquistarlo...

PS. Chiunque sia interessato a leggere altre riflessioni su temi affini alla psicologia segua la pagina, perché ho deciso di ricominciare a scrivere...

 

 

Dr. Daniele Regini 

 

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