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Adolescenza e Covid

Cosa possiamo fare per contrastare il malessere provato da così tanti adolescenti in questo periodo?

In questi ultimi giorni stanno purtroppo emergendo una serie di dati preoccupanti che sembrano suggerire come, quanto accaduto nell'ultimo anno abbia causato nei più giovani una profonda sofferenza.

I vari articoli che si trovano in rete, evidenziano come tra gli adolescenti siano in aumento i casi di autolesionismo, depressione e disturbi alimentari, sottolineando come la causa di tutto ciò sia da attribuire proprio all'isolamento dovuto alla pandemia globale.

Probabilmente niente di più vero.

Dal mio punto di vista sento però forte il timore che ci si riduca ad un'analisi sterile e superficiale del problema, con il rischio di una strumentalizzazione che non aiuti a trovare strategie per affrontare e risolvere la situazione.

Per prima cosa credo sia essenziale riflettere sul perché tutto ciò stia accadendo.

Nelle scorse settimane gli studenti sono scesi in piazza per protestare per tornare a scuola. Se in un primo momento, dando voce all'adolescente che c'è in me, mi sono detto "questi sono pazzi, avessi avuto io la possibilità di non andare a scuola per un anno", poi mi sono chiesto: "perché ci tengono così tanto?".

Per comprenderlo, dobbiamo cercare di tornare indietro a quando eravamo adolescenti e cercare di ricordarci prima di tutto che cosa rappresentavano per noi gli amici.

Detta in parole povere potremmo pensare al gruppo di amici come ad una camera di decompressione o, come spesso viene detto nei libri di psicologia, ad una famiglia sostitutiva.

Quando si è adolescenti si iniziano a provare una serie di emozioni contrastanti nei confronti di sé stessi e della propria famiglia di origine, che nascono dai cambiamenti che avvengono in quel periodo. Il corpo e i genitori, da elementi di cui si è sicuri e a cui riteniamo di poterci ciecamente affidare, si trasformano, realmente o nella nostra percezione, rischiando di diventare quasi dei nemici. Ecco che allora il gruppo dei pari diviene un qualcosa di "sostitutivo" a cui poterci aggrappare e che inizia ad acquistare una grandissima importanza, proprio perché ci trasmette quelle sensazioni di accettazione e comprensione che spesso non sentiamo di provare né da parte di noi stessi né all'interno della nostra famiglia.

E la scuola ha una funzione essenziale in tal senso.

Perché per prima cosa favorisce un contatto quotidiano e continuativo proprio con quel gruppo di pari così importante.

Soprattutto in adolescenza, la scuola svolge infatti funzioni molto più ampie di quella formativa. È il luogo in cui sperimentarsi nella socialità, in cui poter affermare sé stessi oltre a scandire i tempi della giornata.

A tutto ciò bisogna aggiungere come gli insegnanti e gli sportelli di ascolto, presenti praticamente in ogni scuola, forniscono uno screening iniziale che consente di poter intervenire nelle situazioni di disagio nella loro fase iniziale.

Se infatti quelle emozioni a cui accennavamo prima sono del tutto normali, i problemi si acuiscono in quelle situazioni familiari complicate che possono esporre i ragazzi a tensioni, violenza o abusi di vario tipo, o nel caso di una psicopatologia.

Non avere la scuola può quindi significare correre il rischio di vivere in un "tempo sospeso e senza confini", non avere la possibilità di quel confronto/scontro con i pari che aiuta a scaricare le tensioni emotive tipiche dell'adolescenza (specie perché nell'ultimo anno è venuta meno la possibilità di fare sport, altro canale essenziale per gestire le emozioni) e non avere la possibilità di usufruire di uno spazio in cui affermare sé stessi con il conseguente rischio di ricercare questo aspetto sui social.

Proprio i social network sono d'altronde il rovescio della medaglia e l'altro elemento che spesso viene "accusato" per spiegare il malessere degli adolescenti.

Per fortuna o sfortuna, oggi quasi tutto ciò che non possiamo soddisfare concretamente lo possiamo ottenere virtualmente.

Ecco che quindi i rapporti, le gratificazioni, gli scontri e i confronti avvengono tutti in maniera virtuale con tutto ciò che ne consegue. Giusto per citare un paio di aspetti che aiutano a comprendere ancora meglio il perché di quei dati allarmanti, possiamo riflettere su come su internet le litigate si trasformano in atti di cyber bullismo e le proprie fragilità nell'aspetto esteriore trovano un confronto con modelli irraggiungibili di perfezione.

Il non aver avuto accesso a questi contenitori di vissuti emotivi ed essere stati costretti a sperimentare quindi le varie emozioni da soli e in maniera amplificata, credo possa spiegare il perché di questo malessere.

Ma per tornare alla questione iniziale: cosa possiamo fare?

Una volta analizzato e compreso un problema, diviene essenziale attivarci per affrontarlo.

Se infatti è naturalmente diverso l'aiuto e il sostegno che si può ricevere da un professionista, ognuno di noi può dare comunque il proprio contributo per aiutare chi vive una situazione di disagio.

Credo che l'elemento da cui ogni genitore dovrebbe partire sia quello di un interesse autentico per l'adolescente e il suo mondo.

Quando parlo di interesse autentico mi riferisco al fatto che spesso i genitori con cui parlo sono comprensibilmente preoccupati per ciò che i figli stanno provando e rischiano di ricercare un contatto nel cercare di risolvere i loro problemi.

Purtroppo ciò non è possibile.

Sono convinto che ciò che spesso serve ad un adolescente non sia un genitore che risolva i suoi problemi ma un genitore che gli stia vicino, facendogli sentire che c'è un appoggio incondizionato, mentre lui cerca di affrontare e risolvere ciò che gli accade nella vita.

Naturalmente ogni caso è a sé stante e va valutato in maniera specifica, però partire da questo interesse può favorire un contatto che consenta di uscire proprio da quell'isolamento che, come dicevamo prima, ha un ruolo centrale nel malessere vissuto.

E questa vicinanza non è detto che debba avvenire esclusivamente concentrandosi sul "problema", anzi è controproducente; è opportuno che avvenga tramite quei canali che spesso l'adolescente usa con i propri amici.

La musica, i videogiochi, lo sport o gli youtuber da "nemici" contro cui scagliarsi possono quindi diventare dei canali attraversò i quali riscoprire e alimentare una relazione.

Partendo da questo elemento e da una ritrovata vicinanza ci si può iniziare a sentire meno "sbagliati" e iniziare a sentire quel sostegno che diviene essenziale per non arrendersi e chiudersi in un mondo fatto solo di ansie, paure e depressione.

Penso che questo sia una funzione che non possa essere assolta da nessun professionista ma che è necessario che ciascun genitore svolga per dare la forza ai figli di affrontare i propri demoni, piccoli o grandi che siano.

 

Dr. Daniele Regini 

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L’importanza dei piccoli appigli

 

Avete presente quando sui vostri occhiali, non importa se da sole o da vista, c'è una piccola macchia?

Beh quella macchia influenza il vostro modo di vedere. Lo distorce, rende tutto più faticoso, a volte può portare a tremendi mal di testa.

Oggi uscendo e indossando la mascherina, mi sono reso conto che, per quanto cercassi di metterla bene, ne vedevo sempre un pezzetto con la coda dell'occhio.

E allora ho pensato che la mascherina sembra proprio quella puntina di sporcizia che sempre più ci sta portando a vedere il mondo in un modo diverso da quello a cui eravamo abituati.

Se ripenso alla mia vita, mi rendo conto che, per quanto ci potessero essere momenti difficili, imprevisti o duri da superare, sentivo che questi riguardavano me.

Quando vivevo uno di quei momenti, mi bastava pensare un po' al fatto che sì la mia vita poteva avere delle fluttuazioni ma c'erano delle certezze che non cambiavano.

Qualsiasi cosa mi succedeva il mondo sarebbe continuato ad andare come sempre.

E se da una parte poteva sembrare atroce, dall'altra era rassicurante, perché prevedibile.

Quelle certezze erano le sporgenze sulla roccia a cui mi aggrappavo per non cadere.

Oggi, spesso abbiamo la sensazione che non sia più così.

Quelle certezze, anche banali, le stiamo perdendo. Il fine settimana in cui ti vedi con gli amici e ti distrai. Le vacanze estive che ti possono ridare un po' di fiato. L' abbraccio di un caro in cui ti abbandoni e che ti rilassa.

Tutto andato, per ora.

Se ti guardi intorno, su quella parete a cui stai aggrappato sembra tutto totalmente liscio.

Nessuna sporgenza a cui aggrapparti, ed è lì che viene il panico.

Se lasciamo la nostra mente andare.

Se lasciamo che questa inizi a pensare al fatto che non sapremo come andrà il mondo nelle prossime settimane, mesi o anni allora siamo spacciati. Perché viene quella paura che blocca e che paralizza.

Che rende impossibile ogni movimento e che fa sì che i nostri muscoli si irrigidiscano fino a cedere, facendoci cadere.

Però quella è la nostra percezione.

La visione elaborata dal nostro cervello che, filtrata da quella mascherina che rende tutto strano. Qualche tempo fa, guardando un documentario su un campione di arrampicata mi sono però reso conto di una cosa.

Quella parete che ad un primo sguardo sembrava totalmente liscia, in realtà non lo era.

Vista da vicino, da molto vicino, quella parete aveva piccole fessure o piccole sporgenze che sembravano insignificanti ma che erano una certezza a cui lo scalatore poteva aggrapparsi per salire e andare avanti nel suo percorso.

Per vederle però dobbiamo cambiare la nostra prospettiva e renderci conto che anche in questa situazione delle certezze le abbiamo, magari più piccole o diverse da quelle che ci saremmo aspettati ma ci sono.

Oppure possiamo costruircele facendo dei piani concreti e reali su cui abbiamo il controllo.

Lo so forse può sembrare assurdo pensare di poterci “salvare” aggrappandoci ad una routine quotidiana, ad orari stabili e definiti.

Ad un allenamento fatto con gli amici via whatsapp. Oppure a quella puntata di quella serie che stiamo vedendo con nostra moglie o con nostro marito e che diventa un appuntamento fisso.

Però forse quando sei lì lì per cadere anche una piccola sporgenza può salvarti la vita e allora aggrappatici.

Iniziamo a governare i nostri occhi e obblighiamoli a mettere a fuoco il mondo un po' più come vogliamo noi.

Per farlo abbiamo bisogno di quelle certezze, di quelle routine, di quei compiti che possiamo governare, così da evitare che il panico ci prenda.

Aggrappiamoci a queste. Così come alla possibilità di mantenere un contatto con gli amici.

Di poter comunque parlare e avere vicino, sebbene in maniera diversa, quelle persone per noi così importanti. Non vergogniamoci di dire loro che abbiamo paura quando siamo lì appesi e non vediamo nessuna sporgenza.

Perché magari possono aiutarci a vedere meglio, a mettere a fuoco.

Oppure possono raccontarci di quell'uscita in parete che avevano fatto tempo prima e di come anche loro erano rimasti paralizzati. Ma anche di come poi, se sono lì con noi, hanno trovato le risorse per risollevarsi e riprendere la scalata.

Parlare delle nostre emozioni può farci sentire normali.

Sentire che anche gli altri vivono le nostre emozioni può farci provare quella sensazione che prima provavamo quando pensavamo che comunque sia, la nostra era una vita come quella di tutti gli altri e che eravamo inseriti in qualcosa di "naturale".

Ma per vedere quelle piccole sporgenze, quella parete dobbiamo vederla da molto vicino. Senza avere paura di guardarci dentro e stare in contatto con ciò che proviamo.

Credo che forse in questo periodo, ancora più delle altre volte, non dobbiamo sentirci sbagliati o in difetto se vogliamo fermarci e riprendere fiato. Farlo può fare la differenza. Accettare che ora, non ce la stiamo facendo e che siamo stanchi, può essere essenziale per ripartire.

Abbassiamo gli stimoli.

Ridimensioniamo i nostri obiettivi. Stiamo in contatto con ciò che proviamo. Facciamo dei piani FATTIBILI per quando ci sentiremo pronti a muoverci.

Ma intanto aspettiamo, sentiamoci, programmiamo e condividiamo. Oggi siamo abituati ad associare questo termine alla tecnologia. In realtà possiamo condividere noi stessi.

Insomma, diciamocelo chiaramente, stiamo vivendo un periodo della nostra vita come mai prima.

Stiamo vivendo una di quelle situazioni che cambieranno il mondo e le società a cui eravamo abituati.

Ma questo non significa che siamo in pericolo. Anzi, possiamo avere l'opportunità di indirizzare il mondo e la nostra vita in un modo diverso da prima e farlo andare un po' più come lo vogliamo noi.

Approfittiamo di questo momento per imparare a fare cose difficili e che solitamente evitiamo. Fermarci, stare in contatto con noi stessi, programmare e ripartire da noi.

E allora potremo uscire dalla quarantena con la consapevolezza e la capacità di controllare le nostre emozioni anziché fare sì che siano loro a controllare la nostra vita...

 

Dr. Daniele Regini 

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E se la crisi fosse un'opportunità???

 

Chi mi conosce e chi condivide il proprio percorso di terapia con me lo sa benissimo, ho una visione positiva della crisi.

Ogni volta che sento questa parola penso alla sua etimoligia greca e al suo significato originario: Opportunità, Cambiamento.

Negli ultimi gionri sono due gli stimoli che mi hanno riportato a pensare a questo termine (di cui vi metto qui i link).

Il primo è il video di

(Z)ZeroCalcare:

 https://www.youtube.com/watch?v=bqY7Tj06pLo

Io torno a casa e penso che c'ha ragione, che stamo proprio a cocci dentro sta bolla, chi per un motivo chi per un'altro. […] Però c'ho pure un groppo alla gola che non se ne va. E cerco di capì perchè. E penso che forse è perchè: ma mo che finisce tutto, ma che ce 'nventeremo quando ce guarderemo allo specchio e staremo ancora allo sbando, isolati e manco je potremo più accollà sti cocci al coronavirus”

Il secondo è un articolo di Annamaria Testa uscito su

Internazionale:

 https://www.internazionale.it/.../metafora-guerra...

la quale sottolinea come sia pericoloso riferirci a quanto sta accadendo nel mondo, come ad una guerra. L'autrice suggerisce quindi di usare altri termini quali “Pandemia. Pericolo globale. Tragedia collettiva. Difficile emergenza (come dice il presidente Mattarella). Tempesta che smaschera le nostre false sicurezze (come dice papa Bergoglio). […] L’emergenza ci chiede, invece, non solo di progettare cambiamenti sostanziali, ma di ridiscutere interamente la nostra gerarchia dei valori e il nostro modo di pensare. “

Leggendo questo articolo mi sono tornate subito in mente anche le parole di Monicelli, quando sottolineava come la speranza fosse una trappola che ci rende inermi.

In tal senso pensare a quanto sta accadendo come ad una crisi può essere utile e funzionale.

Ci consente di uscire dalla passività.

Ci permette di chiederci che cosa posso fare io per combattere la diffusione del virus.

Cosa posso fare io per aiutare l'altro.

Per consentire all'economia di ripartire.

Per permettere che noi, come gruppo, come Nazione, potremmo risollevarci, senza attendere passivamente che qualcosa cambi.

Di sentire che possiamo comunque, anche in questa situazione, mettere in atto dei comportamenti per superare l'emergenza e perchè no, per riappropriarci della nostra vita, come forse non abbiamo mai fatto.

Credo che in questo periodo ognuno di noi si ritrovi più esposto alle proprie paure, preoccupazioni e, in un certo senso, a fare i conti con sé stesso.

Anche qui, in questo caso, possiamo quindi vedere ciò che sta accadendo come un'opportunità.

Per chiederci che cosa della nostra vita vorremmo cambiare.

Per interrogarci su come la possiamo trasformare, per farla andare in una direzione diversa.

Ma per intervenire su questi aspetti serve proprio una concezione positiva della crisi.

Questa può, infatti, farci sentire protagonisti attivi della nostra vita anziché vittime passive di una guerra che oggi è il coronavirus ma che in altre circostanze è il nostro lavoro, la relazione di coppia o la nostra vita in generale. Doverci confrontare con questa sfida può darci l'opportunità di adottare strumenti diversi che partano da noi.

Iniziamo quindi a contattare le nostre parti più nascoste e a chiederci cosa vogliamo, così da poter pensare di poter cambiare ciò che non ci piace e iniziare a fare dei piani per andare in quella direzione...

 

Dr. Daniele Regini 

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“Rilettura psicologica” del COVID-19 e dell’isolamento (parte 1)

 

Virginia Woolf sosteneva che la malattia spinge a “essere sinceri come i bambini…si dicono cose, si rivelano verità che la cauta rispettabilità della salute nasconde”. Credo che in questo momento della nostra vita ci stia succedendo qualcosa di molto simile.

L’epidemia che in queste settimane ci sta coinvolgendo, ci sta obbligando, senza rendercene conto, a lavorare su tre aspetti che spesso mi sono trovato ad affrontare con le persone che seguo a studio: il senso di impotenza, i confini e l’interdipendenza.

Inizialmente avevo pensato di scrivere un unico “articolo” per trattare i vari argomenti. Ma ho preferito suddividerlo in due parti così da consentire a tutti di avere il giusto tempo per riflettere su tali tematiche, vista la centralità che credo rivestano nella vita di tutti noi.

In questi giorni così difficili per tutti è, infatti, riscontrabile la tendenza a provare vissuti ansiosi o a carattere depressivo anche in chi non ha mai sofferto di tali patologie. Chi già in precedenza provava sintomi di questo tipo, o magari in passato ha affrontato un percorso terapeutico, probabilmente non avrà notato differenze rispetto alla situazione ordinaria, essendo più abituato a confrontarsi con tali difficoltà e avendo già messo a punto strategie consolidate per affrontarle. Chi invece non ha mai avuto tali malesseri, può trovarsi impreparato nella gestione di vissuti emotivi così intensi e destabilizzanti. Questa può essere un’opportunità per confrontarci con aspetti nuovi di noi stessi sui quali non abbiamo mai puntato l’attenzione.

Il maggior numero di disagi, sembra si possa riconnettere proprio all’aver contattato un senso di fragilità e di impotenza, che, in realtà, se ci pensiamo bene accompagna spesso la nostra vita in generale, ma senza rendercene conto.

Al fine di mantenere la serenità ed evitare di dover combattere costantemente con l’ansia, ci illudiamo di avere il controllo su tutto quello che accade intorno a noi e non ci rendiamo conto, invece, di quanti aspetti della nostra vita, in realtà, sono al di fuori del nostro dominio.

Niente panico però.

Prendere consapevolezza ditale aspetto, non significa che siamo in pericolo e neppure che siamo esposti a sofferenze enormi. Anzi, se ci riflettiamo bene, il fatto che riusciamo costantemente a condurre le nostre vite in maniera adeguata, significa che abbiamo le risorse necessarie per affrontare tutto ciò che ci riguarda, imprevisti inclusi. Questo vale in particolar modo in questo momento in cui la pandemia sta mettendo in luce le nostre “illusioni di controllo”.

Nei prossimi giorni pubblicherò altre riflessioni legate ai confini e all’interdipendenza, condividete questo post e invitate i vostri amici a seguire la pagina così da restare connessi, seppure distanti…

 

Dr. Daniele Regini 

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“Rilettura psicologica” del COVID-19 e dell’isolamento (parte 2)

 

Riprendendo le riflessioni di qualche giorno fa, è importante osservare come il dover restare in casa e dover cambiare le nostre abitudini quotidiane, senza volerlo, ci sta facendo entrare in contatto con alcuni aspetti centrali in molti lavori psicoterapeutici. La distanza che dobbiamo mantenere l’uno dall’altro, per evitare la diffusione del virus, ci obbliga, ad esempio a riflettere sul tema dei confini.

Nel corso delle varie sedute, spesso mi ritrovo, ad affrontare questa tematica, per le connessioni che può avere proprio con i vari sintomi. Certo, quelli di cui mi occupo nel mio lavoro sono confini emotivi e relazionali ma, come spesso avviene, concreto ed emotivo, reale e metaforico, sono strettamente interconnessi.

Questo ritengo sia, quindi, un aspetto importante su cui riflettere visto che, nelle ultime settimane, ognuno di noi è dovuto intervenire sui propri confini spaziali e temporali. Se da una parte quelli temporali rischiano di saltare del tutto, (ci si può ritrovare ad alzarci o ad andare a dormire più tardi del solito, con implicazioni sulla possibilità di riuscire a mantenere gli impegni della giornata) dall’altra, quelli spaziali vanno completamente rivisti. Un po’ perché ci stiamo tutti quanti abituando a restare lontani l’uno dall’altra e ad evitare di “invadere” lo spazio altrui. Un po’ perché, non so se ve ne siete resi conto ma in questi giorni le batterie dei cellulari durano molto di meno di prima. L’impossibilità di stare “vicini” e la preoccupazione per i nostri familiari, sommati alla noia, ci stanno portando ad usare di più il telefono e i mezzi di comunicazione. Ciò però rischia di creare i presupposti per una sorta di “invasione” costante. I mezzi di comunicazione attuali ci obbligano a rivedere costantemente la concezione di tempo “pubblico” e “privato” e questo isolamento aumenta a livello esponenziale il rischio che questi saltino.

Come i confini, anche il tema delle interdipendenze è al centro dell’attenzione in questi giorni. Spesso impostiamo le nostre vite, cercando di essere autonomi e indipendenti, considerando l’interdipendenza un qualcosa di estremamente negativo. Se è vero però che le interdipendenze patogene e le dipendenze sono un qualcosa di molto rischioso, spesso connesse con vissuti di sofferenza e malattia, d’altronde ciò che spesso non teniamo in considerazione è che siamo tutti in un rapporto di interdipendenza l’uno dall’altro. Quello dell’interdipendenza è un argomento molto vasto che ha a che vedere con la Differenziazione e, come dicevamo prima, con i confini. Spesso ci si confonde pensando che per essere indipendenti bisogna mettere confini rigidi con l’altro. Altre volte si confonde l’autonomia con il taglio emotivo o ci si illude che per essere indipendenti sia sufficiente andar via di casa (spesso anche continuando a dipendere dai genitori per aspetti economici o di accudimento). Il rischio, in questi casi, è di ritrovarci bloccati e impossibilitati ad andare nella direzione che vorremmo. Dare un valore centrale all’indipendenza, come se essere in relazione e in interdipendenza fosse un qualcosa da evitare, rischia dunque di porci in una situazione impossibile.

In realtà è necessario saper gestire in maniera adeguata i rapporti e proprio le inevitabili interdipendenze.

E oggi siamo costretti a riconoscerlo; perché un virus che fino allo scorso mese riguardava una parte del mondo molto lontano da noi, improvvisamente ha un impatto su aspetti della nostra vita diretta. Un mio comportamento ha effetti su quello degli altri e quelli di tutti sono tra loro legati.

Spero che di questi aspetti potremmo far tesoro una volta usciti dall’isolamento. Certo sarà bellissimo riabbracciarci e poter nuovamente star vicino gli uni agli altri ma, allo stesso tempo, penso che in questi giorni sarebbe molto utile spendere un po’ di tempo per riflettere su tali questioni che, senza rendercene conto, hanno un impatto sulla nostra vita e sul nostro benessere.

 

Dr. Daniele Regini 

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